Stranger! If you, passing, meet me, and desire to speak to me, why should you not speak to me?
And why should I not speak to you? (Walt Whitman 1819-1892 Leaves of Grass 1900)
Translate
venerdì 30 agosto 2019
Victor Tsoi
Abbiamo iniziato il racconto di questo album fatto di presenze e assenze con la prima canzone che era la versione in italiano di un brano del 1976 dei Ramones, gruppo di New York - Stati Uniti - e finiamo invece in modo opposto ma similare con l'adattamento in italiano di un brano del 1982 di Victor Tsoi del gruppo Kino di San Pietroburgo (anzi Leningrado ai tempi in cui Victor Tsoi era in vita). Dagli Stati Uniti alla Russia passando per l'Italia. Ho conosciuto i Kino attraverso un altro gruppo russo : i Mumiy Troll, che qualche anno fa hanno inciso un paio di loro cover (tra cui appunto Vosmiklassnitsa) e che mi hanno fatto venire voglia di approfondire.
Victor Tsoi
Come con i Ramones anche con i Kino si è di fronte a qualcosa di estremamente vero, intorno a loro non hanno avuto niente di simile e la libertà che potevano avere i Ramones (a casa loro) sicuramente non era la stessa dei Kino (a casa loro) ma è altrettanto vero che per il rocker, se è davvero tale, va bene qualsiasi strumento purché possa suonare, ecco dunque che la chitarra acustica usata all'inizio da Victor Tsoi aveva la stessa energia della chitarra distorta di Johnny Ramone e chi l'ha ascoltata se n'è accorto. Sicuramente non sarà stato facile suonare in maniera "rock" quando non solo non era permesso ma anzi alla trasgressione si rispondeva con...la galera! Victor Tsoi e i suoi Kino ci sono comunque riusciti e la prematura morte a soli 28 anni lo ha consegnato all'eternità insieme alla sua musica. I brani dei Kino sono brevi, semplici, essenziali nella loro struttura compositiva e nella loro crudezza ti arrivano subito al cuore, come è giusto che sia, come il rock e la musica popolare sanno fare. Vi consiglio di andare alla ricerca prima di qualche notizia su Victor Tsoi magari partendo da qui : https://it.wikipedia.org/wiki/Viktor_Coj https://www.ondarock.it/rockedintorni/kino.htm https://www.eastjournal.net/archives/75719 e poi ovviamente ascoltatevi la loro musica.
i Kino
Senza età (Vosmiklassnitsa -Восьмиклассница) testo e musica di Viktor Tsoi (Виктор Цой) - adattamento in italiano di Silvano Staffolani
La strada è deserta loro due che
camminano
Se sanno dove andare non lo danno a
vedere
Lui che fuma mentre lei lei mangia
caramelle
E i lampioni fanno luce già da molto
ormai
Mmm / sono senza età / Mmm
Lei racconta della scuola e del voto in
geografia
Lui ha lo sguardo fisso a terra e non
dice una parola
Lei continua a raccontare che qualcuno
ha un occhio nero
è successo tutto solo solo a causa sua
Mmm / sono senza età / Mmm
Mmm / sono senza età / Mmm
Il rossetto è di sua madre il guardaroba
di sua sorella e le bambole e i giochi da buttare ormai
Lui continua a non parlare mentre prende
a calci i sassi si son fatte le dieci è già ora di rientrare
Mmm / sono senza età / Mmm
giovedì 29 agosto 2019
Non sempre le canzoni vanno spiegate, i testi possono anche parlare da soli e non richiedono l'aggiunta di nessuna parola, richiedono solo una melodia sopra cui poggiarli, è il caso del brano che segue.
QUANDO LORO SIAMO NOI
(testo e musica Silvano Staffolani)
C’è
chi ha bisogno di certezze
e scruta il mondo alla ricerca
impaziente di tracce
lasciate appositamente da chi la vita vuole attraversare
avendo
per ogni spazio vuoto
una firma da vergare
Fammi
raccontare a chi sa ancora ascoltare
e a chi continua a sostenere
che tutti
i morti sono uguali
lascia che gli dica che
sono i vivi ad essere
uguali
nonostante sia di parte nonostante sia distante
Non
è la morte che ci lega
è la vita che ci implora e spinge
come un cuore
pompa sangue
lo stesso versato
lo stesso che ha macchiato di vergogna
questa terra
Ci
sono loro e ci siamo noi
a volte loro siamo noi
per
questo occorre essere prudenti
nessuno è immune dalla follia che travolge i destini
E
i ricordi sono anticorpi
se li ricordi non sono morti
se
li ricordi indietro li riporti
ci sono loro e ci siamo noi
a volte loro
a volte loro siamo noi
mercoledì 28 agosto 2019
E' stato Massimo Bellucci (https://storiealtre.wordpress.com/) a farmi conoscere la storia del partigiano Giuseppe Grossi ucciso a Ripe (AN) la mattina del 9 giugno 1944. Sull'episodio ha scritto un bel racconto che mi ha inviato e da cui ho tratto alcune frasi e comunque l'ispirazione per il testo di quella che poi sarebbe diventata la canzone "Se fosse solo un nome".
Ci siamo ritrovati domenica 9 giugno 2019 proprio accanto a quella che fu la casa di Giuseppe Grossi, e quello che fu anche il luogo dove ha trovato la morte per mano di qualcuno che ben lo conosceva, o conosceva comunque la sua abitazione; in mezzo ad altre case tutte abitate, con i vicini che hanno potuto sentire quello che stava accadendo, che accadeva nella piazza del loro piccolo paese così come nel resto d'Italia, che quando hanno potuto sono intervenuti ma spesso sono rimasti al sicuro, nascosti, a guardare. A volte si tenta di dimenticare, in special modo i ricordi che fanno male, ma bisogna al contrario riportare alla luce nomi ed eventi che hanno segnato il nostro recente passato, prima che la storia diventi mito, prima che la storia venga raccontata in altro modo, prima che la storia divenga racconto di fantasia. Poggiare i nostri piedi sugli stessi sampietrini dove altri hanno camminato, ripercorrere i loro passi e guardare il paesaggio che altri occhi hanno già visto...con la dovuta attenzione si potrà udire l'eco di tante parole rimbalzare da un muro all'altro mentre ci si incammina per le strette vie del paese. Ci sono sempre finestre socchiuse che mai nessuno avrà la voglia di spalancare e dietro qualcuno pronto ad origliare; nel testo della canzone in ascolto c'è un bambino, la mamma gli impone di allontanarsi dalla finestra perché ha intuito che fuori sta succedendo qualcosa di brutto e lui sente e si fa testimone finché anni dopo racconterà a qualcun altro quel che ha sentito: la storia di un nome, che non può essere solamente un nome.
"Bisogna tornare alla mattina del 9 giugno 1944. Una camionetta di militi della Guardia Nazionale Repubblicana proveniente da Jesi arriva dal viale Umberto I, giunge in piazza Leopardi, i fascisti circondano la casa di Giuseppe Grossi, antifascista e partigiano. Lo chiamano a gran voce, i familiari sono terrorizzati, Giuseppe Grossi tenta una fuga dal lucernaio del tetto.
La sua casa è a ridosso del palazzo comunale, a fianco delle scale del palazzo comunale che salgono fino a sopra il livello del tetto della casa stessa. Proprio su queste scale lo stava aspettando un uomo che, vedendolo uscire, gli spara uccidendolo sul colpo. La meticolosa conoscenza del territorio e della sua casa è dovuta ad una sicura partecipazione di persone del posto. Giuseppe Grossi, falegname, appartenente ad una famiglia di onesti lavoratori, piuttosto discreta e riservata: secondo le testimonianze raccolte egli nei mesi precedenti ha combattuto lunghi mesi ad Arcevia, riesce tuttavia a sfuggire alle stragi di maggio, rientra a Ripe dove riprende la sua attività lavorativa. Poi l’aggressione; i familiari si mettono in fuga in qualche modo. Qualcuno raccoglie il corpo di Grossi che giace esanime sul tetto della sua casa e lo depone in una bara. Questo evento desta molto scalpore in quei giorni, ma viene subito dimenticato, un oblio che dura sino ai nostri giorni. Niente di ufficiale su questa figura è stato scritto o detto, per decenni.
Recentemente una pubblicazione a cura di Marco Severini intitolata “La Resistenza in una periferia” ha gettato una luce sulla storia della resistenza in questo specifico territorio comunale; precedentemente furono pubblicate ricerche del prof. Santoni e del sig. Lavatori con alcuni cenni alla vicenda. Ma fa riflettere che nei 71 anni intercorsi dalla Liberazione a oggi, non vi sia stata nessuna commemorazione, nessuna epigrafe, nessuna iniziativa volta a ricordare un uomo che ha sacrificato la propria vita per la libertà e la democrazia del nostro paese. Non è stato mai neanche officiato alcun rito funebre. In quei giorni concitati il corpo è stato raccolto e sepolto subito al cimitero, ma neanche successivamente è stata fatta alcuna cerimonia o commemorazione religiosa o civile come in altre circostanze analoghe invece è accaduto. Pensiamo che sia doveroso recuperare la memoria di questa figura tanto importante quanto dimenticata, in modo semplice, possibilmente senza retorica, come è nello stile della sua famiglia che ha custodito silenziosamente per anni questo dolore." daAssociazione Generazioni Storie Orizzonti
SE FOSSE SOLO UN NOME
(testo e musica Silvano Staffolani – dedicato a Giuseppe
Grossi ucciso a Ripe la mattina del 9 giugno 1944)
Non dirlo non dirlo
ti prego non dirlo perché
ricordare quando fa ancora male.
Già lo sai come è
fatto il paese da
dietro le persiane
c’è chi sta ad ascoltare.
Se fosse solo un nome
nonstaremmo qui a parlarne
Ma se fosse proprio il nome che conviene dimenticare
In giornate come
questa se chiudo gli occhi a
volte riesco ancora a
vederli e
quando c’è il giusto
silenzio mi sembra anche di
sentirli lì a parlare
e lo
fanno sottovoce e non
capisco ma
poi riecheggia il suo
nome non
ci si può non ci si
può sbagliare lo
son venuti a cercare
Tutte le colpe dei
miei pochi anni cosa
vuoi che siano se le confronti con le
brutte cose che le persone
son capaci di fare
Ho avuto la paura di
sapere e la
stessa ancora mi assale se
penso che possono
ritornare ma la
rabbia è più forte
non la puoi fermare ma la
rabbia è più forte
non la puoi fermare
Non dirlo non dirlo
ti prego non dirlo perché
ricordare quando fa ancora male.
Già lo sai come è
fatto il paese da
dietro le
persiane c’è chi sta ad ascoltare.
Se fosse solo un nome
nonstaremmo qui a parlarne
Ma se fosse proprio il nome che conviene dimenticare
domenica 25 agosto 2019
la copertina del libro
Scritto nel 1879 da Luigi Mariani, "lo scoglio del paradiso - scene del brigantaggio - 1799" narra le vicende socio / politiche di fine settecento intrecciando splendidamente particolari storici legati al territorio di Pioraco e Camerino (nella provincia di Macerata) e descrizioni del paesaggio che fa da scenario alla vicenda e che con questa si intreccia così tanto da diventare anch'esso protagonista. L'invasione francese al grido di "viva la repubblica" e l'insorgenza controrivoluzionaria al grido di "viva Maria" sono il motivo scatenante per una guerra civile che travolge tutto e tutti e in mezzo ci finiscono anche i due giovani protagonisti principali : Bianca e Federico.
Poco più che ventenni i due sono destinati l'uno all'altra ma il loro amore non basta a preservarli e proteggerli dagli eventi, anche perché Bianca è oggetto del desiderio di un prete, uomo di chiesa e capo di una squadra di briganti, che a lei proprio non vuole rinunciare. Quando gli esseri umani odiano altri esseri umani non possono che desiderare la morte intorno ad essi e ne fanno la loro ragione di vita...vivere per portare morte, sembra un controsenso e invece...
Luigi Mariani (autore del libro)
La storia è molto avvincente e il semplice descrittivo stile di scrittura così comune in tanti romanzi dell'ottocento, rende molto piacevole la lettura. Ci si trova in mezzo alla storia che continua a ripetersi uguale a sé stessa fino ai giorni nostri, non solo quella dei poveri esseri umani ma anche quella della terra sempre martoriata dai fenomeni naturali : c'è un resoconto dettagliato del terremoto che ha sconvolto la zona di Camerino (28 luglio 1799) e che, purtroppo, continuerà a ripresentarsi anche a distanza di anni. Le tragedie non hanno memoria e sono condannate a ripetersi sembra dirci l'autore. La natura non conosce pietà mentre l'uomo dovrebbe farne una delle sue caratteristiche principali, l'esperienza di vita dovrebbe farsi maestra e far comprendere meglio come si possa essere legati uno all'altro, magari a capire questo le forme artistiche possono essere d'aiuto e in questo caso la lettura di questo libro qualche riflessione in proposito non può che farcela fare.
lo scoglio del Paradiso a Pioraco
"Lo scoglio del paradiso" citato nel titolo è una falesia nel paese di Pioraco conosciuta anche dagli amanti delle scalate; molti altri punti di Pioraco sono descritti e può essere una bella idea quella di farne un piccolo percorso "turistico" da seguire dopo avere letto il libro, poco è cambiato su queste pareti rocciose, sugli anfratti creati dal fiume Potenza e lo scorrere dell'acqua con i suoi rumori nei salti e gorghi presenti oggi come allora, chissà se le ombre che si intravedono nel paese non ancora quelle di Bianca e Federico, chissà se loro due sono esistiti veramente in quel 1799? In realtà questa di domanda non viene neanche in mente al lettore, più che altro viene voglia di mettersi sulle loro tracce...e per cominciare bisogna andare a Pioraco ...
"Tra Camerino e Matelica, piccole città dell'Appennino marchigiano, e pressoché a mezzo la distanza che le divide, scorre il fiume Potenza il quale..."
come
sempre delresto quando lì con lei
c’è Federico
Bocca piccola e di corallo
ciglia lunghe e vellutate
solleva di poco il suo sguardo che vada
ad
abbracciare il suo grande amore
Via i
Francesi, il Papa e i briganti e il mondo intero scompare
loro son
sordi, insensibili a tutto quello che non parla della loro passione
e se hai vent’anni il mondo
t’appartiene non puoi aver paura
e se hai vent’anni il mondo
t’appartiene non puoi aver paura
ma se hai vent’anni e occhi
innamorati tutto ti fa paura
A Pioraco la gente è per strada
Federico vede dalla finestra
Il mondo sta per cambiare come
un fiume in piena che tutto travolge
“Bianca sarai al sicuro ma da
qui te ne devi andare
Sarà per questa notte insieme a
tuo padre da me ti porterà”
Ma qualcun altro a lei sta
pensando brucia ancora il suo rifiuto
Il buio nasconde il buio
protegge “e tu bella ragazza non dici nulla?”
Perché stai tremando a cosa
stai pensando quel che vogliamo vogliamo”
“Se non puoi esser mia tu non
sarai d’alcun altro “
Uno sparo e un urlo di dolore a
scuotere la valle
Sei condannato a vivere
Federico affronta ogni pericolo
senza il timore di poter
perdere la tua vita perché
la vita tu l’hai chiusa in un
medaglione che porti
vicino al cuore con dentro una treccia di capelli
e la scritta Bianca 29 luglio 1799
sabato 24 agosto 2019
La ballata del carcere di Reading (the Ballad of Reading Gaol) fu pubblicata in origine sotto lo pseudonimo C.3.3. (identificativo del detenuto all'interno della prigione : braccio C della prigione, piano 3°, cella numero 3) ma ben presto la paternità venne riconosciuta e celebrata all'autore con il suo vero nome Oscar Wilde. Il componimento poetico è un lungo resoconto dell'esperienza vissuta dallo scrittore a seguito della condanna a due anni di lavori forzati da scontarsi dentro l'omonimo carcere. Wilde ci resterà dal novembre 1895 fino al maggio 1897 quando potrà uscirne anche se ormai con il fisico pesantemente compromesso, morirà infatti appena tre anni dopo a soli 46 anni. Attraverso le parole avrà forse tentato di alleggerirsi l'anima da quanto visto / vissuto e cercato dunque di dare un senso al tutto, certo l'intento era anche quello di sensibilizzare i lettori affinché potessero migliorare le condizioni dei carcerati. Wilde non si erge a giudice, non condanna, al più grande crimine si risponde con il più grande perdono, lo stesso che forse anche lui ha cercato, invano.
da "la ballata del carcere di Reading" di Oscar Wilde (musica Silvano Staffolani)
Io non so dire se la Legge è giusta o se la Legge è ingiusta.
So soltanto che noi languiamo abbandonati in carcere circondati da mura troppo alte, dove ogni giorno è lungo come un anno: un anno fatto di giorni lunghissimi.
E questo posso dire: che ogni Legge creata dall’uomo per l’uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male.
Ed anche questo so (vorrei che ognuno lo sapesse): ogni carcere è costruito dall’uomo con mattoni di vergogna e chiuso dalle sbarre, perché Cristo non veda come gli uomini riescono a mutilare anche i propri fratelli.
Con queste sbarre macchiano la luna ed accecano il sole. Forse è giusto che tengano nascosto il loro inferno: dentro avvengono cose che nessuno, non il figlio di Dio e non il Figlio dell’Uomo, avrebbe forza di guardare.
È mezzanotte nel cuore di un uomo, è il crepuscolo nella cella di un altro: ognuno nel suo inferno solitario gira un uncino o lacera una corda. Il silenzio lontano è più solenne del suono di una campana di rame.
Mai una voce umana s’avvicina per dire una parola di conforto. Lo sguardo che ci scruta dalla porta non ha pietà, impassibile. Da tutti dimenticati, siamo qui a marcire, sfigurati nel corpo e nello spirito.
Eppure ogni uomo uccide ciò che ama. Io vorrei che ciascuno m’ascoltasse: alcuni uccidono adulando, ad altri basta solo uno sguardo d’amarezza. Il vile uccide con un bacio e l’uomo coraggioso con la spada!
venerdì 23 agosto 2019
"Vi estas Pino" : questa canzone è dedicata alla memoria di Giuseppe "Pino" Pinelli e il testo riprende molte delle parole di sua moglie Licia Pinelli nel libro "Una storia quasi soltanto mia (la breve vita di Giuseppe Pinelli, anarchico)". All'inizio del brano si sente la voce di Tullio Bugari che, in esperanto, sta salutando qualcuno dicendo : "ciao, sono contento di poter parlare con te, io sono Pino, tu chi sei?", ho immaginato potesse essere questo il momento in cui Pino incontra per la prima volta Licia, proprio ad un corso di esperanto di cui entrambi erano interessati e probabilmente queste potrebbero essere state le parole con cui lui si è presentato alla sua futura moglie. Ecco spiegato il titolo in esperanto "Vi estas Pino" : "Tu sei Pino", perché sarà facile da quel momento in poi per lei riconoscerlo fra chiunque. Nel testo vengono narrati alcuni momenti dell'ordinaria vita familiare fino ad arrivare all'ultimo ricordo che Licia ha di Pino ancora in vita. Giuseppe Pinelli è stato ucciso nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, per chi non ne ha mai sentito parlare basta già la pagina Wikipedia per farsi un'idea della sua storia : https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Pinelli . Non è mai facile narrare storie tanto tragiche sotto forma di canzone ma diventa obbligo civile non dimenticare e dal punto di vista artistico/musicale diventa obbligo che certe storie vengano ascoltate da quante più persone sia possibile raggiungere; una melodia "leggera" per far arrivare nel modo più semplice un pensiero e un ricordo di un uomo sempre pronto a confrontarsi con gli altri, a raccontarsi e a farsi raccontare e che ci invita a riflettere anche oggi.
Come detto in precedenza già farsi qualche domanda spinge comunque alla ricerca delle risposte. In occasione dei 50 anni dalla sua morte bisogna tornare a cantare di Pino e della sua vita, anche partendo proprio da quell'esperanto di cui era sostenitore e che ha come scopo "far dialogare i diversi popoli cercando di creare tra di essi comprensione e pace con una seconda lingua semplice ma espressiva, appartenente all'umanità e non a un popolo".
Il pomeriggio del 20 agosto 2019 io e Tullio Bugari abbiamo incontrato Licia e le sue figlie Claudia e Silvia e insieme a loro abbiamo ascoltato la canzone chiedendo il benestare per renderla pubblica; ora potete ascoltarla anche voi che state leggendo.
VI ESTAS PINO (testo Tullio Bugari – musica Silvano Staffolani)
Saluton, mi estas feliĉa mi povas paroli vin,
mi estas Pino, kiu vi estas?
Eravamo una famiglia e poi è mancato il padre
in quella casa proletaria con le porte sempre aperte
Entrava chiunque ad ogni ora, Pino tornava dalla ferrovia
Se io stavo ancora lavorando andava di là a cucinare
Per noi e chiunque era in casa invitava tutti a restare
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare
Con le tensioni del mondo entrava in casa l’allegria
la mia macchina da scrivere e le tesi impaginate
Quanti ragazzi in giro per casa si finiva poi per parlare di tutto
I vicini avanti e indietro poi tanti bambini compagni di gioco per le figlie
Gli studenti sopra i fogli da correggere o in cucina a fare il caffè
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare.
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare.
Poi è arrivato il Sessantanove
Un anno pieno di angoscia
Anche noi due la sentivamo
“Non vedo l’ora che finisca questo anno”
Dodici Dicembre Pino torna dal lavoro alle sei di mattina e va a dormire
Io porto a scuola le bambine faccio la spesa torno e pulisco il pavimento
Si presenta un compagno “vai di là a svegliarlo” sono le due è tempo di andare“
“Prenditi il cappotto“ “Non ne ho bisogno“ “Prenditi il cappotto“ è l’ultimo ricordo
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare
“Io sono anarchico tu come la pensi” Invitava tutti a chiacchierare
Appena poche ore e arriva la polizia si mettono a cercare cosa sperano di trovare
Qualcosa di nascosto sì che c’è i regali delle figlie per il Natale
Le bambine continuano a domandare dov’è dov’è nostro padre
Fino alla notte fra il quindici e il sedici non smettono non smettono di domandare
Tiro giù il cappotto da dietro la porta
Avevano ucciso e diffamato Pino
Attaccavano gli anarchici
La battaglia era politica
Non potevo combatterla
Sotto l’impulso dei sentimenti
La rabbia e il dolore li lasciavo dietro
Ma la notte restava mia
Soltanto il giorno era un’altra cosa
Ciao Pino.
giovedì 22 agosto 2019
Testo integrato del DLG 22/01/1948 n. 66 risultante dalle modifiche apportate dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113.
Art. 1
1. Chiunque, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona
congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque
ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata, e' punito con la reclusione da uno
a sei anni. La stessa pena si applica nei confronti di chi, al fine di ostacolare la
libera navigazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una
zona portuale o nelle acque di fiumi, canali o laghi, o comunque le ostruisce o le
ingombra. La pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, anche non
riunite, ovvero se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle
cose.
Art. 1-bis
1. Chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il
proprio corpo, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da
euro 1.000 a euro 4.000. La medesima sanzione si applica ai promotori ed agli
organizzatori.
sciopero lavoratori Singer giugno 1977 binari stazione Porta Nuova a Torino
L'occupazione delle strade ferrate (binari della ferrovia) è dunque reato praticamente da sempre, ma da sempre possiamo dire che questa modalità di sciopero però è stata attuata a più riprese. Nella canzone "Treni alla stazione" (testo di Tullio Bugari) viene raccontata proprio una di queste manifestazioni avvenute negli anni '70 a Jesi (AN). Gli operai stanchi di non ottenere risposte certe alle loro rivendicazioni sono "soliti" occupare i binari, fermano i treni e vi salgono per parlare con i viaggiatori spiegando i loro motivi, spesso ne ricevono anche la solidarietà. Al termine di una di quelle "occupazioni" vengono raggiunti dal sindaco in carica che porta loro le buone notizie di cui erano in attesa, nella festa che segue il sindaco viene sollevato e lanciato in aria in segno di giubilo. La più alta carica locale dunque che, pur essendo al corrente del reato che si sta commettendo, si unisce ai lavoratori in sciopero. In una precedente canzone sempre presente su questo blog "Questa sera sono io il Don Chisciotte" nel testo veniva ricordato come "Io sono il Chisciotte dei mulini a vento contestavo i potenti con il sorriso sul volto oggi è tutta una lagna detestano e basta" ; ecco in "Treni alla stazione" viene raccontato invece come anziché detestare e basta fosse alquanto normale passare alle vie di fatto per combattere le proprie battaglie e la canzone chiude proprio con "di lotta ne vorremo ancora un po' anche oggi".
In realtà sarebbe auspicabile sempre che non si debba mai ricorrere alla lotta, allo scontro, alla contrapposizione violenta degli uni contro gli altri e dunque ecco che il blocco stradale diventa già una vera forma di lotta nonostante il codice civile/penale e i legislatori, e i governi, pensino erroneamente che manifestare sia sempre equiparabile all'uso della violenza. D'altronde se lo sciopero non procura disturbo e disagio...a cosa serve? E come ci dissero alcuni studenti di una primaria in occasione di un laboratorio che io e Tullio Bugari abbiamo svolto con loro nel corso di una bellissima mattinata : "perché scioperare? A cosa serve?" e qualcuno direttamente aveva anche domandato "cos'è lo sciopero?".
Per fortuna già fare domande è anche manifestare la voglia di trovare risposte.
Venite vi accompagno in stazione a occupare i binari...
TRENI ALLA STAZIONE (Testo Tullio Bugari – musica Silvano Staffolani) Quei treni alla stazione sì che li
ricordo Ci dicevano tutti che era un azzardo Si schierava attorno la polizia Ma non bastava a mandarci via Perché
noi volevamo che la nostra
azienda non finisse in bancarotta E
ci scusavamo per quella forma
di lotta Gli operai con gli striscioni sì che
li ricordo Le bandiere al vento e alto lo
sguardo Si avvicinava il treno alla stazione Ma non lo avremmo mai mandato via Perché
noi volevamo che il nostro lavoro non finisse in bancarotta Era
necessaria questa forma di lotta Undici e cinquantacinque è questo l’orario Il rapido per Roma è già sul binario Sale un operaio e spiega al capotreno Ci basta una mezz’ora una mezz’ora
almeno Perché
noi vogliamo che la nostra città non finisca in bancarotta E
ci scusiamo per questa forma di lotta Con elmi e scudi ecco la polizia Il commissario “cacciateli via!” Vuole denunciare tutti per oltraggio Mentre gli operai cercan altro
coraggio Perché
noi vogliamo che la nostra lotta non finisca senza niente Ma
dai balconi ora applaude la gente Quella telefonata sì che la ricordo Ci diceva in Parlamento c’è l’accordo Il sindaco della città lanciammo in
aria Festeggiammo in questo modo la
vittoria Quei treni alla stazione sì che li
ricordo Ci dicevano tutti che era un azzardo Non finiva certo qui la nostra lotta Ma l’azienda non era più in
bancarotta E
questa fu la lotta della Classe Operaia ne siamo ancora fieri Di
lotta ne vorremmo ancora un po’ anche oggi E
questa fu la lotta della Classe Operaia ne siamo ancora fieri Di
lotta ne vorremmo ancora un po’ anche oggi
mercoledì 21 agosto 2019
Boris Karloff nei panni di Capitan Uncino (1951)
Dopo "il canto della sirena" ecco un altro brano dedicato al mondo di Peter Pan: questa volta parliamo di Capitan Uncino e della sua figura descritta in maniera alquanto ambigua nel romanzo di James Matthew Barrie.
Già di strano c'è che uno dei protagonisti del romanzo abbia lo stesso nome di battesimo del suo autore "James Hook" (in italiano Giacomo Uncino) ma forse è solamente una coincidenza. Certo è che la sua figura è tutta da indagare, un fuorilegge gentiluomo avvezzo alle buone maniere (anche l'illecito va commesso con le buone maniere, il pirata è intransigente su questo fatto) e che ama i fiori, che ha frequentato ottime scuole e discende da una ottima famiglia...e allora?
Come e perché è diventato pirata? Sembra che per un qualche motivo sia stato allontanato dalla buona società, niente di più ci è dato sapere e dunque possiamo solo immaginare.
Intanto si capisce che anche lui, come tutti gli altri nel romanzo, è alla ricerca di una relazione umana, vuole avere considerazione dagli altri e la cerca in tutti i modi. Nella canzone mi sono portato avanti e viene chiaramente specificato che cosa veramente gli manca : "tutto quello che hai voluto - quello che hai sempre temuto - qualcuno che ti dica - TI VOGLIO BENE".
Povero Giacomo Uncino che passa la vita a rincorrere qualcosa che desidera e che teme allo stesso tempo.
Boris Karloff nei panni Capitan Uncino (1951)
VECCHIO PIRATA
(testo e musica Silvano Staffolani)
Vecchio pirata
quanti mari avrai solcato
quante navi avrai assaltato
non lo sai?
Vecchio pirata
una vita all’avventura
e il tuo nome fa paura
ai marinai
Non nascondi il piacere
di essere temuto
e quel ghigno sul tuo viso
un accenno di sorriso
Di tutte le tue conquiste
si è ormai perso il conto
ogni rinuncia è un affronto
non sia ricordato
Boris Karloff nei panni di Capitan Uncino (1951)
Vecchio pirata
dove posi il tuo sguardo
stai inseguendo un ricordo?
Si lo so
Vecchio pirata
fai issare la bandiera
non tenerla prigioniera mai più
Nessuno deve avere
quel che a te viene a mancare
ma se ti volti di scatto
sì la puoi notare
come un’ombra che scompare
tutto quello che hai voluto
quello che hai sempre temuto
qualcuno che ti dica
TI VOGLIO BENE
Vecchio pirata
hai tutto il tempo che ti occorre
ma tu scappi e ti rincorre
dove andrai
Vecchio pirata
c’è una cosa che ti manca
e ogni notte si fa bianca
come mai?
lunedì 19 agosto 2019
John William Waterhouse - The Siren - 1900
"L'isola che c'è", un titolo provvisorio per uno spettacolo della compagnia "il cantiere dei sogni" in preparazione da qualche mese. Dentro il copione, che è una libera interpretazione della storia di Peter Pan, ci sono finiti diversi "quadri". Il cantiere dei sogni mette in scena un teatro molto sensoriale, dove non sono coinvolti solo la vista e l'udito ma sia i suoi attori che il pubblico dovranno utilizzare tutto il loro corpo e comunicare attraverso le possibilità che questo offre. L'isola che c'è diventa dunque un luogo reale dove vivere i sogni (in fondo la finalità del teatro è proprio quella, inscenare un sogno e rendere tutto possibile sopra un palcoscenico, senza nessun limite imposto), ciascuno ha la sua isola da trovare e scoprire. In questa canzone avviene l'incontro del protagonista con le sirene, due diversità a confronto : uno ha le gambe per camminare e le altre la coda per nuotare; due mondi contrapposti che solo uno sguardo distratto può considerare incompatibili, senza possibilità alcuna di contatto e relazione eppure..."c'è un posto sulla riva del mare dove le onde puoi indossare e uno scoglio dove riposare giusto un po' prima di ripartire"...così come c'è un modo di camminare se non hai le gambe e un modo per nuotare se non hai la coda. L'isola che c'è dà possibilità a tutti, a prescindere da chi/come si è, di vivere ed esprimersi al meglio valorizzando le proprie capacità. Tutti possono essere disabili nel momento in cui smettono di sognare e si arenano su di un solo punto di vista che limita ogni orizzonte. Cerchiamo un po' di capire insieme come l'impossibile non debba mai diventare un credo assoluto.