Translate

lunedì 5 novembre 2018

una recensione dell'album "La conquista" da :

Silvano Staffolani è una di quelle persone che mi piacerebbe davvero conoscere di persona. La sua etica punk è radicata e pura, l’impegno verso la musica è serio, volge sì lo sguardo indietro -con quel pizzico di nostalgia d’artista, di disillusione- ma è un sguardo che si riflette lucido anche nel presente. L’attaccamento alla tradizione, al folklore degli appennini marchigiani, alle cantilene voce e fisarmonica, sono elementi imprescindibili nella sua musica, nonostante un eloquente – e mai nascosto- background do-it-yourself.
La Conquista è un lavoro breve e folgorante, ove il passato ed il racconto popolare riemergono con la loro saggezza aggredendo un presente incerto, arido di nobiltà d’animo, ove la cupidigia s’espande come una silenziosa ma -socialmente- discreta pandemia universalmente tollerata.
E’ un cantautorato che ha radici lontane quello di Silvano Staffolani (già apprezzato su questo spazio con Abusivo): la tradizione contadina, la terra e le sue fatiche, non rappresentano solamente quel bagaglio di ricordi e di educazione, che decora con una certa eleganza retrò, ciascuna delle otto tracce di questo disco. Rappresentano piuttosto la bussola a cui affidarsi nei momenti in cui il presente supera qualsiasi folle (e forse distopica) aspettativa: dalle visioni orwelliane (post-social network) della tenebrosa La memoria, alla rilettura tutt’ora attuale e working-class di Factory (episodio colpevolmente minore di Bruce Springsteen).
Eppure l’allegoria medioevale, sia melodica che in alcuni lirismi, trova in brani come Arsita (Valfino al Canto) o ne La nostra aquila una quasi intatta matrice folk, senza bisogno di grossi arrangiamenti, toccando picchi di grande intensità durante l’esecuzione del traditional Fra giorno e notte. Tuttavia il tema centrale de La Conquista è un “riottoso” (quindi dichiaratamente punk) atto d’accusa all’ottusità diffusa verso i sentimenti basilari per una società moderna come la nostra: l’amore, il rispetto, la libertà d’espressione e la tolleranza assumono contorni spettrali, quasi fossero qualità rare, il cui nome appare svuotato dal concreto significato. Impassibile luna tocca esattamente queste corde, con briciole di un nichilismo senza rimorsi e un refuso finale speranzoso («il futuro dimenticato per poter diventare presente, il futuro potrà contare su chi è assente»), confermato peraltro dal timbro cupo dell’organetto (ripreso anche nella finale ed epica Una fotografia sbiadita), che traccia un solco emotivo piuttosto eloquente nella forma-canzone di Silvano Staffolani.
L’uomo con la sua fisarmonica non potrebbe mai essere rappresentazione fedele di quell’estetica punkeggiante che richiede (nonostante siano passati trent’anni) le solite stereotipate pose, posizioni ed sbiaditi slogan. Eppure Silvano Staffolani ribadisce anche ne La Conquista (rigorosamente autoprodotto), una vena sinceramente arrabbiata verso codesto esangue presente, trovando nelle ataviche semplicità e genuinità del folklore, la chiave di lettura originale per decifrare una quotidianità mai come oggi bisognosa di un monito e di un orientamento.
recensito da Poisonheart