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martedì 16 giugno 2020





ILARIA MIGNONI – I VIZI CAPITALI (un album balfolk)

Chi frequenta il mondo del balfolk conosce necessariamente anche Ilaria Mignoni e il suo magico violino e per questi dunque ci sarebbe ben poco da spiegare e raccontare eppure…Per tutti gli altri che non hanno mai sentito parlare di balfolk brevemente potrei dire che da diversi anni ormai, in svariate occasioni, alcuni musicisti si ritrovano a suonare per dei ballerini; ad ogni brano suonato corrisponde una danza più o meno codificata e dunque alquanto magicamente e spesso a sorpresa, può capitare che le piazze si animino di note e piedi ballerini (provate a cercare sul web il termine “mazurka clandestina” tanto per fare un esempio). Ecco dunque Ilaria è un pezzo di questo balfolk ma …non solo.

Torniamo a chi già sapeva tutto eppure…anche per loro sarà una scoperta sapere che Ilaria è anche una talentuosa compositrice e ce lo rivela a sorpresa con una raccolta di canzoni, più propriamente una sorta di concept album con un tema che fa da filo conduttore (per chi se lo ricorda negli anni 70 del secolo scorso era abbastanza usuale questo tipo di album) : i vizi capitali. Di brano in brano scopriamoli un po’ questi vizi :
 Mazurka Lussuriosa
ecco il racconto del desiderio di ballare una mazurka francese, croce e delizia di tutti i ballerini di balfolk, alle prime note gli occhi sono già alla ricerca di quel ballerino e c’è poco tempo prima che un’altra se lo porti via…”la mazurka è un pensiero dolce che si balla”
Valzer superbo
che tenerezza questo semplice valzer a tre tempi che non si accontenta più di questo suo stato “basilare” e decide di diventare un cinque tempi…chissà poi se si pentirà mai di questa scelta o resterà invece a pavoneggiarsi in questo strano tempo dispari?
Bourrée burrosa
torniamo di nuovo nella pista da ballo ma solo perché…mica c’è solo il ballo o la musica da ascoltare, c’è anche il buffet da assaltare!
Gavotte de l’indolence
Testo in inglese per una dedica d’amore a un “lazy boy” che si sveglia già stanco con una lei che invece non si stanca mai di aspettarlo
Scottish invidiosa
“essere felici a cosa serve se nessuno lo sa?” la scottish è una danza così allegra e spensierata che difficilmente chi la sta praticando farà caso alle parole e allora approfittate ora che state solo ascoltando perché ci sono alcune verità dentro sempre utili da tenere come pro-memoria
An dro adirato
Che delizia la doppia voce su questo pezzo, non solo Ilaria sa cantare benissimo ma è completamente padrona dell’interpretazione facendosi lei stessa strumento. Far vibrare le corde dell’anima di chi ascolta è tutt’altro che facile e non si ottiene solamente con una bella voce ma è necessario che tale voce provenga da un lontano altrove dove la musica si fa padrona del corpo e lo impiega al meglio.
Conto Courenta e balet
Un altro dramma da pista da ballo per il povero accompagnatore che disperato si vede sottrarre la sua bella
Hanter Dro di Baudelaire (bonus track)
Questa volta testo in francese e come non omaggiare nella sua lingua uno dei più grandi poeti di Francia?
Ogni brano contiene dunque una piccola storia da raccontare e l’autrice riesce ad accompagnarci nell’ascolto con la stessa maestria di un insegnante di danza, non ci sono mai passi sbagliati se ci si lascia guidare da qualcuno veramente esperto e la cosa migliore che può capitare è perdersi senza il bisogno di contare i passi, perdersi e ritrovarsi chiudendo a volte gli occhi. Ilaria Mignoni padroneggia i tempi musicali e le sue melodie sono tanti fili a “comporre” la trama di un tessuto particolarmente prezioso, dai colori cangianti a seconda della luce che li colpisce, quasi come il vestito di una ballerina che non sta mai ferma. Siamo in uno strano territorio dove la musica classica corteggia la canzone pop e insieme prendono a braccetto il folk internazionale con uno sguardo alla canzone d’autore, insomma ce n’è per tutti.
Una domanda chi conosce Ilaria potrebbe farsi dopo aver ascoltato l’album : come mai non si sente il suo violino? Non è una violinista? Ehm…non proprio, Ilaria è innanzitutto artista e come tutti i veri artisti può esprimersi in svariati modi, nei più differenti ma sempre rimanendo sé stessa e ce lo dice con l’ironia nei suoi testi, con i dialoghi degli strumenti che ha usato, con la passione del canto con…se vi ascoltate l’album lo capirete da soli.
Ecco l’indirizzo dove poter ascoltare e/o scaricare l’album per intero :
https://www.jamendo.com/album/191656/i-vizi-capitali


mercoledì 6 maggio 2020

lunedì 27 aprile 2020

https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/musica/Notizie_1587649525.htm

Intervista a Silvano Staffolani

a cura di Ester Giuseppina Coppola

1) Ci eravamo lasciati con il progetto teatrale “Orfeo ed Euridice”. Come è andata?
Se era ancora un progetto quando ci siamo sentiti allora devo dirti che è diventata poi una bellissima realtà. Abbiamo portato in scena diverse volte la nostra versione di Orfeo ed Euridice ed è stato sempre emozionante. Per approfondire appena un po’ : sono membro di una compagnia teatrale che si chiama “il cantiere dei sogni” come parte delle attività che i volontari come me, unitamente agli operatori, portano avanti all’interno della “lega del filo d’oro” di Osimo, un centro riabilitativo per persone con menomazioni psico sensoriali; nel nostro Orfeo il finale era un po’ diverso dalla storia conosciuta perché sul finale qui Orfeo non si volta e il suo amore Euridice potrà tornare alla vita fuori dall’ade insieme a lui, non si volta perché è cieco (nella finzione come nella realtà l’attore che lo impersona) e dunque la sua disabilità lo rende vincitore. Il teatro è il luogo dove si può essere ciò che si vuole dunque è anche il luogo (o non luogo) ideale per far sì che l’impossibile diventi...possibile e prenderne parte attivamente riequilibra le disparità che la vita propone a tutti noi. Fare questo tipo di teatro dimostra che i limiti che tutti noi abbiamo sono solo quelli che ci impone la nostra mente. Nelle nostre rappresentazioni cerchiamo sempre di coinvolgere tutti i sensi e gli spettatori diventano anche loro protagonisti, quando pensiamo a una qualsiasi scena da realizzare abbiamo sempre alcune questioni da risolvere che non riguardano solo chi sta sul palco, tipo : “e se nel pubblico ci sono dei non vedenti? In che modo possono apprezzare quel che facciamo?” ; lo spettacolo deve essere fatto e percepito con tutto il corpo, una vera e propria esperienza plurisensoriale. In Italia stanno crescendo moltissimo i festival di teatro con attori disabili e noi abbiamo partecipato a due fra i più importanti “lì sei vero” a Monza e “il giullare” a Trani, ora non resta che continuare e riaprire il nostro “cantiere dei sogni” per nuove avventure e io ci metto anche il mio ulteriore contributo scrivendo le canzoni per gli spettacoli come quelle che abbiamo usato in Orfeo ed Euridice (p.s. stiamo mettendo in scena la nostra versione di “Peter Pan” e sarà bellissima, inutile che ve lo dico vero?) 
2) Ci parli del duo Acefalo.
Ormai è da qualche anno che sto suonando in giro per l’Italia insieme a Lorenzo Cantori, come colonna sonora per i reading concerto che facciamo con Tullio Bugari che ne è la voce narrante oppure semplicemente con la nostra musica. Abbiamo un repertorio che comprende oltre ai brani scritti da noi (e tanti di quelli dei miei album) anche molti appartenenti al repertorio di musica popolare italiana che cerchiamo di recuperare e adattare al nostro stile. In tanti ci hanno chiesto: “ma il vostro duo come si chiama?” così è stato Lorenzo a trovare il nome, in realtà avrebbe dovuto essere “duo senza testa” ma esiste già, credo sia un duo del nord Europa e così abbiamo modificato in duo Acefalo. Sapete perché siamo senza testa? Entrambi siamo nati e cresciuti ad Osimo (provincia di Ancona, nelle Marche) e proprio gli abitanti del nostro paese a causa delle statue di epoca romana esposte nell’atrio comunale, tutte senza testa, sono chiamati osimani senza testa quindi ...eccoci a rappresentare con il nostro nome le nostre origini. Insieme abbiamo suonato in qualsiasi tipo di evento come feste di paese, sagre, matrimoni o compleanni ma anche a teatro sia con nostri spettacoli (“Cantate per tutto l’anno” - “Parole disperse / Canzoni ritrovate”) che come ospiti in quelli di altri. Esibirci con strumenti acustici come chitarra, organetto e tamburo a cornice, ci consente di poter portare la nostra musica ovunque senza bisogno di elettricità o impianti audio ecco perché siamo un po’ dappertutto. Ecco un nostro video in cui presentiamo “il cuore di un cantore” brano che abbiamo composto insieme e che spiega quel che succede a un povero cuore lasciato “in deposito” alla persona sbagliata. 
 
3) La pace secondo te è …
...troppo difficile da poter essere definita? Potrebbe essere la possibilità di vivere ogni istante con la consapevolezza di inseguire i propri sogni senza l’impedimento di nessuno, la capacità di godere di tutto quello che la natura ci offre perché anche se scontato molto spesso, per i motivi più disparati, ci è impedito o peggio ce lo impediamo noi stessi per ...dimenticanza? La pace è una conquista non un regalo e dobbiamo sempre impegnarci duramente per mantenerla (se siamo fortunati) o lottare altrettanto duramente per ottenerla. Un sinonimo è sicuramente libertà perché senza l’una non esiste l’altra. La pace è poter guardare negli occhi chi abbiamo di fronte senza che nessuno dei due senta mai il bisogno di abbassare lo sguardo. 
4) Quale tra i tuoi album pensi che ti rappresenti meglio?
Quello che devo ancora scrivere, così come la mia più bella canzone è quella che non ho ancora composto. Credo che ogni album da me pubblicato sia rappresentativo di un certo periodo di tempo della mia vita, tra le parole e le note ci sono racchiusi giorni vissuti, persone incontrate, pagine di libri e storie che mi sono state raccontate, ci sono io con lo sguardo che si fa lente d’ingrandimento per un dettaglio che merita di essere fermato nel tempo e c’è la fantasia che alleggerisce i piedi pure quando cammini nel fango. Direi che tutti insieme mi rappresentano mi sono perso all’interno di ciascuno e chi li ascolta per ritrovarmi dovrà ascoltarseli tutti. 
5) Il tuo attuale progetto: portare in musica le parole di Gianni Rodari. Perché proprio lui?
Il tutto è nato dalla richiesta di Tullio Bugari di scrivere alcuni pezzi che potessero fare da sottofondo per delle letture proprio degli scritti di Gianni Rodari. Ho iniziato a leggerlo e il primo pensiero è stato : “troppo brevi, è impossibile dare un senso musicale compiuto a delle filastrocche così corte” poi però ho capito che il problema ero io, legato alla composizione del formato “canzone” con una durata standard. Analizzando bene mi sono accorto che buona parte di quelle filastrocche aveva già una processione melodica, sembrava fossero state scritte per essere cantate anziché semplicemente lette. Quando chi scrive parole lo fa avendo in testa l’andamento musicale per trasformare il susseguirsi di parole in frasi di senso compiuto...ecco chi poi trascrive in musica il tutto ha il lavoro estremamente facilitato. Gianni Rodari nella sua infanzia ha preso lezioni di violino per tre anni, era dunque un musicista pure lui ha solo cambiato il suo modo di comunicare al meglio con gli altri, dall’usare le note è passato alle parole. Devo dire che nella sua bibliografia i temi da lui trattati sono così tanti che...se fosse un musicista avrei detto di lui che “ha suonato ogni genere musicale classificato fino ad oggi”; io ho tentato un po’ di fare la stessa cosa nell’arrangiare la musica per i suoi scritti senza pensare a cose del tipo “filastrocca allegra, musica allegra” ma esplorando le sensazioni senza confinarle in alcuno schema/genere. Dall’impossibilità percepita inizialmente il tutto è poi proseguito molto velocemente, mi sono fermato dopo il diciottesimo brano però perché...me lo stavo sognando pure di notte Rodari e i suoi strampalati personaggi, ho pensato fosse meglio interrompere. In quanto a Gianni Rodari come autore posso dire che rappresenta un caso abbastanza unico tra quanto da me letto, sono in pochi ad aver usato la lingua italiana in questo modo avventurandosi in descrizioni di ogni tipo, spesso surreali ma sempre con una riflessione che ti entra in testa dopo la lettura, niente di quello che ha scritto semplicemente rimane dentro il libro quando lo chiudi ma ti entra in testa e ti costringe a pensare e ripensarci, il suo è un messaggio chiaro di monito per le sciocchezze che facciamo noi tutti esseri umani e un pro-memoria per quello che dimentichiamo spesso di fare, vivere bene e far vivere bene gli altri. Leggere Gianni Rodari è migliorarci un po’. Ecco l’indirizzo dove scaricare gratuitamente l’album drive.google.com 
6) Qual è il prossimo progetto?
Durante la giornata del 25 aprile saranno disponibili per poter essere scaricate - sempre gratuitamente - delle nuove canzoni inedite, il tema è quello della resistenza e dell’antifascismo di ieri e di oggi, la memoria serve anche per questo : dare voce a chi da solo non riesce a farsi ascoltare (o non può più nel caso dei protagonisti delle canzoni). Per ogni aggiornamento vi invito a venire a visitare il mio blog : cartolinedautore.blogspot.com ci troverete ogni informazione e l’indirizzo per poter scaricare la mia musica. Lasciate traccia del vostro passaggio, ogni commento sarà il benvenuto. 
Intervista pubblicata anche su ultimamentelibera.altervista.org

sabato 25 aprile 2020

Ci sono storie che bisogna raccontare ancora ed ancora, perché chi le ha vissute non ha più voce per  farsi sentire. Ci sono storie che bisogna raccontare perché il passato è pieno di errori ma noi non abbiamo ancora imparato e continuiamo a ripeterli. Ci sono storie che bisogna raccontare perché se si perde la memoria non c'è possibilità di capire il presente. Ci sono storie che bisogna raccontare perché si possa costruire un futuro consapevole. Un po' di queste storie noi ve le raccontiamo e le trovate a questo link : 



martedì 21 aprile 2020


Ci sono sempre piacevoli scoperte che, a dispetto di quanto possano dire i soliti critici, fanno ben sperare per il futuro della musica in questo caso italiana. La buona musica continua ad essere prodotta, serve solo la curiosità e la voglia di andarla a cercare perché non è quasi mai "in vetrina"; in fin dei conti la bellezza è anche giusto che se ne stia un po' nascosta perché altrimenti potrebbe sciuparsi in mano a chiunque. Ho il piacere dunque di presentarvi un cantautore di quelli "con tutte le carte in regola" che ha storie da raccontare e una chitarra per accompagnarsi, e già questi sono due fattori rari oggigiorno, aggiungete che è pure bravo e avrete "LE ROSE E IL DESERTO" ovvero Luca Cassano.
Nato nel 1985 in quel di Cosenza ma stabilitosi ora a Milano giusto per coprire così tutta l'Italia tra il suo passato e il presente, ha da sempre frequentato la poesia e la letteratura e, fortuna nostra, ad un certo momento ha deciso di abbinarle alla musica e il risultato possiamo anche ascoltarlo e ne ascolteremo ancora visto che è uscito il suo primo singolo a cui seguirà a breve un EP.
Ho fatto qualche domanda a Luca e con la gentilezza che lo contraddistingue ha subito accettato di inviarmi le sue risposte per cui vi invito a leggere questa breve intervista:

“Le rose e il deserto”, in musica che cosa assomiglia più alla rosa e cosa più al deserto?
Una rosa potrebbe essere una canzone d'amore sussurrata al risveglio, suonata arpeggiando. Il deserto un pezzo punk, con le chitarre elettriche e la batteria che fa un gran bordello 
Nel tuo singolo d’esordio “Un terzo” ci fai un elenco delle cose in cui ti perdi ma ce ne diresti un paio in cui invece ti sei ritrovato? 
Che bella domanda! "Un terzo" parla delle cose che mi fanno paura e mi fanno perdere la rotta. Però si, ci sono anche tante cose che invece mi danno sicurezza e mi fanno ritrovare. Sicuramente la vicinanza delle persone care (sopratutto in questo periodo di distanza obbligate). Mi viene da pensare alla mia nipotina (nell'EP che uscirà fra un mesetto ci sarà una canzone scritta per lei). E poi, senza dubbio, i miei libri: ci sono stati tanti momenti della mia vita in cui ho avuto la sensazione tangibile che il libro che stavo leggendo in quel momento fosse un porto sicuro in cui rifugiarmi.

La musica al giorno d’oggi: viviamo il tempo dei cantanti con l’auto-tune e basi trap; tu che ti presenti con la tua voce e la chitarra sei un rivoluzionario o semplicemente un pazzo?
Da ragazzo ero innamorato della figura di Ernesto Guevara, quindi mi piacerebbe risponderti che sono un rivoluzionario contemporaneo. La realtà, molto meno avventurosa ma, spero, altrettanto poetica, è che le mie canzoni si inseriscono (forse dovrei dire "vorrebbero inserirsi") all'interno della tradizione del cantautorato italiano. Penso, e lo penso da ascoltatore prima ancora che da musicista, che le parole vengano prima della musica. Mi piacciono le parole, mi piace giocarci, confonderle, nasconderle, accostarne di diverse. Per far questo bastano penna e foglio; una chitarra di accompagnamento è più che sufficiente.
Come si fa a scrivere una canzone?
Ah boh!? Persona sbagliata a cui chiederlo. La mia è una scrittura del tutto istintiva, priva di alcuna pianifiazione. Non sono in grado di sedermi alla scrivania e mettermi a scrivere. Le mie canzoni nascono quando qualcosa (tipicamente un pensiero o un ricordo) mi colpisce fra cuore e stomaco. Se questo avviene, allora testo e musica nascono nel giro di poche ore. Poi, ovviamente, interviene il cervello a mettere ordine fra i versi, scegliere le assonanze giuste, decidere gli accordi più adatti alla melodia, ma questo avviene in un secondo momento, quando la canzone è già lì. Il resto è sindrome da foglio bianco.
Le parole di un testo sono semplicemente le note di una melodia o qualcos’altro? Il significato delle stesse non distrae l’ascoltatore dalle emozioni suscitate dalla musica?
Io la direi esattamente al contrario: il rischio è che la melodia, l'arrangiamento, distraggano l'attenzione dall'ascolto delle parole. Ad un buon testo basta un arrangiamento minimale perchè la canzone sia di impatto. Troppo spesso oggi ascoltiamo canzoni ben costruite in cui l'arrangiamento nasconde, ad arte, la vuotezza del testo.
Chi volesse contattarti e soprattutto ascoltarti come può fare?
Il singolo "Un terzo", uscito da poco, si può ascoltare su tutte le piattaforme digitali. Qui il link: https://lnk.to/IMn7gdwv
Per rimanere aggiornati su tutto quello che faccio, ci sono i miei social:







venerdì 17 aprile 2020

Ed ecco lo streaming di tutti i brani contenuti nella raccolta "...sulla luna e sulla terra fate largo ai sognatori". Lasciate un commento, se vi va, indicando il vostro preferito.


 

martedì 14 aprile 2020

Eccovi il link per poter scaricare liberamente l'album, cliccateci sopra e...buon ascolto!
Ogni vostro commento, critica, osservazione o quant'altro sarà bene accetto. 



venerdì 3 aprile 2020

Ci siamo quasi, a giorni sarà disponibile per poter essere scaricata liberamente una nuova raccolta di canzoni. Sono esclusivamente testi tratti dagli scritti di Gianni Rodari trasformati in canzoni e suonati e cantati ma sarebbe meglio dire interpretati, nel mio stile. A prestissimo.



martedì 7 gennaio 2020


Dopo la prigionia dal Settembre 1943 al Settembre 1944 e la sosta forzata in Germania per un altro anno ancora, Igino Gobbi riesce a rientrare in Italia e a tornare a casa ma niente potrà più essere come prima, lui non potrà più essere quello di prima e lo dice nel libro con queste parole “Nei giorni successivi l’unica persona che mi fece notare il cambiamento fu la piccola Ilde. Ricordo un pomeriggio in cui mi si avvicinò, e guardandomi negli occhi con l’innocenza tipica dei bambini mi disse: “Ma perché non ridi più come prima?” Fu lì che mi resi conto che dovevo dimenticare.” “Ero riuscito a sopravvivere, ora dovevo vivere”. Eppure a un certo punto sarà necessario ricordare, anche se fa male, fa molto male. Sarà il pensiero alla vita sottratta a tanti ragazzi e ai loro occhi, come dice Igino : “perché gli occhi di chi guardando al cielo chiede umilmente “perché” non si possono dimenticare.

 



RIDERE
(testo e musica Silvano Staffolani - ispirato ai racconti di Igino Gobbi)
Riprenderò 
a ridere
perché ho bisogno
di vivere
dopo tanto sopravvivere
e per non stare più male
scelgo di 
dimenticare
lo confesso ci ho provato   

ma oggi è tempo
di ricordare
perché gli occhi di chi
guardando al cielo
chiede umilmente
perché
non si possono
dimenticare
lo confesso ci ho provato  

E anche se oggi
fa sempre male
ritorna il pensiero
a quel lungo viaggio
così la mia risata
sarà la vergogna
di chi ha tentato
di spegnerla
lo confesso ci ho provato   


Igino Gobbi ex Matricola n° 151866. prigioniero in Germania nel campo di lavoro nazista di Wlfsburg dal Settembre 1943 al settembre 1944


lunedì 6 gennaio 2020


Igino Gobbi ci riporta al Gennaio del 1944, nel freddo del pieno inverno del nord della Germania, con la strada da fare tutti i giorni per andare a lavoro e ritornare e…gli zoccoli di legno così consumati che solo il tallone era risparmiato dal toccare il terreno gelido. Otto chilometri da fare la mattina a piedi, quasi come fosse scalzo anzi per alcuni giorni del tutto scalzo con i piedi sanguinanti fasciati. Nella prima parte del testo che segue si parla di scarpe…in realtà sono passati molti mesi dalle ultime scarpe indossare e altri ne occorreranno prima che il protagonista potrà indossare nuovamente delle vere scarpe, magari i piedi che calzano quelle scarpe sono quelli di tutti noi oggi, che continuiamo passo dopo passo…arrivano però le parole di Igino con gli zoccoli di legno duro e che sottolinea anche come qualcosa ha sempre fatto sì che i suoi piedi non si arrestassero mai perché continuare a camminare è anche poter continuare a vivere.






LE SCARPE
(testo e musica Silvano Staffolani - ispirato ai racconti di Igino Gobbi)
Si sono consumate le scarpe
su queste strade avute in sorte
e anche se fanno male
i piedi ormai
vanno da soli

gli zoccoli di legno duro
sono un ricordo ormai
scalzi in gennaio
tra l’acqua fango e gelo
continuano ad andare

ed era il dolore a
farmi sentire vivo
insieme alla fame mi
dava ancora la voglia
di sperare

e di sognare
che un giorno non troppo lontano
quella vita
sarebbe tornata
a essere mia
ma se la neve è fresca
sembra un materassino
di gomma piuma

domenica 5 gennaio 2020


Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i soldati italiani vennero messi di fronte alla scelta di essere arruolati come parte dell’esercito tedesco o spediti in campi di detenzione in Germania, il 90 % di essi rifiutò la prima scelta e all’incirca 600.000 giovani furono considerati prigionieri di guerra (poi internati militari poi lavoratori civili, cambiano i termini ma poco vale). Igino Gobbi, nato a Filottrano nel 1924, è stato uno di quelli ad aver detto no, come racconta lui stesso insieme a lui altri 1800 furono caricato sui treni e spediti verso la Germania, alla fine di tutto di quei 1800 sono ritornati neanche in 30.

Io e Tullio Bugari abbiamo incontrato Igino Gobbi nella sua casa di Monte San Vito e ci siamo fatti raccontare, abbiamo ascoltato quel che era disposto a raccontare. Non è facile confrontarsi con la propria memoria, specie quando è il dolore la parte prominente e Igino ne ha vissuto e visto tanto di quel dolore ed ecco che ogni singola parola costa fatica eppure…la forza di raccontare “perché si sappia ciò che è veramente accaduto e che nulla di simile possa accadere di nuovo”, quella forza è un dovere non farla mai venire meno.
Se volete andate a leggervi il suo libro qui : http://www.midicevanosempretantomorirai.it/
e per continuare c’è una bella intervista qui : https://icmontesanvito.edu.it/il-piccolo-grande-eroe-di-monte-san-vito/
La storia di Igino Gobbi sarà centrale nello spettacolo “Percorrere la memoria” e ben tre canzoni girano intorno alle sue parole. La prima, con il testo scritto da Tullio Bugari è “Avevo solo vent’anni”
* Wolfsburg è il nome della città tedesca dove fu destinato Igino Gobbi 



AVEVO SOLO VENT’ANNI
(testo Tullio Bugari ispirato ai racconti di Igino Gobbi)
(musica Silvano Staffolani)

Avevo vent’anni e tanti sogni
la fatica era disumana
il freddo che entra nelle ossa
la fame che alberga dentro il corpo
il ghiaccio e la morte morte bianca
la cattiveria insensata
li contavo a decine
e li guardavo sparire i compagni

Io non so come ho fatto
a non smettere di sognare
oggi li ho ancora i miei vent’anni
i sogni non li ho mai persi
non ho perso neanche il ricordo
quel posto non si deve dimenticare
troppo ragazzi hanno visto
i sogni morire con le speranze

Wolfsburg* uno dei tanti campi
maledetti da ricordare
perché i campi non son tutti uguali
ogni campo ha la sua di storia
scritta ciascuna con delle vite
sottratte ad ognuno di quei ragazzi
che avranno per sempre per sempre vent’anni
che avranno per sempre solo vent’anni




sabato 4 gennaio 2020


Domenica 26 gennaio 2020 alle ore 17:15 al teatro “La Fortuna” di Monte San Vito (AN) sarò parte dello spettacolo “Percorrere la memoria” dove porterò alcune delle canzoni da me scritte in collaborazione con Tullio Bugari; quattro di queste sono state composte appositamente e il tema ha a che fare con il titolo dato allo spettacolo. Ve le vorrei presentare iniziando da “IL FALO’ DELLE VANITA’ “
La pagina internet http://www.festivaldelmedioevo.it/portal/il-falo-delle-vanita/ ci racconta molto bene quel che accadde il 7 febbraio 1497 a Piazza della Signoria a Firenze e lo ritrascrivo qui di seguito : Brucia. Brucia il peccato. Brucia il lusso. Brucia il vizio. Brucia il demonio. Brucia la depravazione. Brucia la perdizione.
Brucia la febbre di conquista, nel volto di Girolamo Savonarola (1452-1498): il rivoluzionario, il moralizzatore, il profeta dei Piagnoni.
Le fiamme illuminano i suoi occhi spiritati, quasi in estasi di fronte a quello spettacolo di purificazione.
È il 7 febbraio 1497 e nel grande falò al centro di Piazza della Signoria bruciano migliaia di oggetti: specchi, cosmetici, vestiti di lusso, arpe, bombarde, cetre, chitarre, liuti, ciaramelle, cornamuse, flauti, ghironde, vielle, e ancora dadi, profumi, livree, parrucche, carte da gioco, libri immorali, manoscritti con canzoni profane, dipinti.
Sandro Botticelli ammira i suoi capolavori ardere: errori di gioventù finalmente riparati, opere infamanti che non infangheranno più il suo buon nome.
Dipinti pagani, che ritraggono figure mitologiche e che parlano di sensualità e di passione: Venere, Marte ed Ercole bruciano nel rogo. Brucia il mostruoso Centauro, bruciano i satiri giocherelloni.
Brucia il suo passato di peccato alla corte dei Medici, brucia la vergogna di artista cortigiano foraggiato dalla borghesia fiorentina; brucia per sempre l’epoca in cui dipingeva cicli ispirati al Decameron di Boccaccio e opere piene di allegorie pagane, brucia l’esaltazione del trionfo della vita.
Per anni Sandro aveva prestato la sua arte per celebrare matrimoni e allietare banchetti di vino ed orge.
Poi era arrivato Savonarola ed era morto Lorenzo il Magnifico, e tutto era cambiato. Tutte le vecchie sicurezze si erano infrante, il trionfo della vita aveva lasciato il passo all’annuncio della morte e del giudizio finale e Sandro si era sentito profondamente colpevole per aver dato volto a quel magistero artistico tanto aspramente condannato dal “santo frate”.
Così, in questo martedì grasso che non era mai stato così magro, e terrificante ed esaltante, lo stesso pittore è corso alla sua bottega per fare razzìa delle sue opere e gettarle nel rogo.
Si guarda intorno e percepisce un’eccitazione generale.
È un’antica usanza, a Firenze, quella di accendere il grande falò per l’ultimo giorno di carnevale: tutto il popolo si adopera per portare in piazza legna, frasche e paglia, e poi lasciarsi andare a danze orgiastiche per tutta la notte.
Savonarola ha deciso di rispettare l’usanza anche quest’anno, ma con una piccola differenza: perché oggi saranno proprio le orge a bruciare sul falò: orge di ogni genere. Ogni forma di lascivia e impudicizia è destinata a finire nel grande rogo: che siano statue di uomini e di donne nudi o quadri dei grandi maestri del tempo, o strumenti musicali, o libri, o canzonieri. Ognuno porta ciò che vuole, e gli artisti stessi fanno a gara per purificare le proprie opere.”
Dalla storia alla letteratura ci sono anche altri “roghi”, come quello fatto completamente di libri che altro non sono se non causa di pazzia per chi è solito passare troppo tempo in loro compagnia; Cervantes nel suo Don Chisciotte della Mancia ne racconta proprio uno : “Mentre che don Chisciotte dormiva, il curato domandò alla nipote le chiavi della stanza dove trovavansi i libri, cagione di tanti malanni; ed essa gliele diede di buona voglia. Quindi entrarono tutti e con essi anche la serva; e trovarono da più di cento volumi grandi assai ben legati, ed altri di picciola mole. Non li ebbe appena veduti la serva che uscì frettolosa della stanza, poi tornò subito con una scodella d’acqua benedetta e con l’asperges dicendo: “Prenda la signoria vostra, signor curato, e benedica questa stanza affinchè non resti qui alcuno degl’incantatori de’ quali sono zeppi cotesti libri, e non ci facciano addosso qualche incantesimo per vendetta di quello che noi vogliam fare di loro cacciandoli dal mondo„. La semplicità della serva mosse a riso il curato, ed ordinò al barbiere che glieli venisse porgendo uno alla volta per conoscere di che trattassero, potendo essere che qualche opera non meritasse la pena del fuoco. “No, no, disse la nipote, non si dee perdonare ad alcuno di essi, mentre tutti sono concorsi a questo danno: il più savio partito sarebbe gittarli per la finestra nell’atrio, farne un mucchio ed appiccarvi il fuoco; o per evitare il fastidio del fumo sarebbe anche meglio fatto trasportarneli in corte ed ivi incendiarli. Lo stesso disse la serva, sì grande era in ambedue la smania di veder morti quegl’innocenti”
Troppi sarebbero gli esempi di roghi con cui proseguire, dove gli oggetti da bruciare si “aggiornano” e modificano con il passare degli anni ma che rimangono rappresentantivi sempre di un dissenso dal pensiero comune o per il loro carattere effimero (non è mai facile stabile cosa possa o no possa essere definito in tal modo) o contrario ai buoni costumi (anche in questo caso vale la nota espressa per il termine effimero). Il fuoco e le sue fiamme nell’esoterismo e nella religione cristiana rappresentano la purificazione ecco dunque che attraverso esso si aspira ad una “elevazione” con la distruzione di quanto possa ancorare metaforicamente alla terra il corpo umano.
Percorrere la memoria diventa un esercizio necessario se, periodicamente e regolarmente, c’è chi tenta di cancellare una parte di questa memoria.

  


  
IL FALO’ DELLE VANITA’
(testo e musica Silvano Staffolani)

Scappate dal fuoco create dal fuoco
come scintille
noi volteggiamo ciascuna ha la sua
di direzione
dell’alfabeto si direbbe una danza
ogni lettera è bruciata
c’è una voce che si alza
da ogni pagina perduta
ogni parola cancellata
volteggia nell'aria mentre tutt'intorno
al fuoco che si alza nel cielo
c’è aria di festa
Le risate volgari le pose sguaiate di
chi sfrontato alimenta il rogo
gettando volumi con l’intenzione
di salvare i buoni costumi
ma da qualche parte in silenzio
c'è chi tiene ancora una penna in mano
e una fiamma debole di una candela
fa risplendere un foglio bianco
dove un pezzo alla volta
un mondo intero prende forma
e cento vite o forse più
nascono e si consumano
per cento volte o forse più
e cento vite o forse più
nascono e si consumano
per cento volte o forse più
o forse più