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sabato 24 agosto 2019


La ballata del carcere di Reading (the Ballad of Reading Gaol) fu pubblicata in origine sotto lo pseudonimo C.3.3. (identificativo del detenuto all'interno della prigione : braccio C della prigione, piano 3°, cella numero 3) ma ben presto la paternità venne riconosciuta e celebrata all'autore con il suo vero nome Oscar Wilde. 
Il componimento poetico è un lungo resoconto dell'esperienza vissuta dallo scrittore a seguito della condanna a due anni di lavori forzati da scontarsi dentro l'omonimo carcere. Wilde ci resterà dal novembre 1895 fino al maggio 1897 quando potrà uscirne anche se ormai con il fisico pesantemente compromesso, morirà infatti appena tre anni dopo a soli 46 anni. Attraverso le parole avrà forse tentato di alleggerirsi l'anima da quanto visto / vissuto e cercato dunque di dare un senso al tutto, certo l'intento era anche quello di sensibilizzare i lettori affinché potessero migliorare le condizioni dei carcerati. Wilde non si erge a giudice, non condanna, al più grande crimine si risponde con il più grande perdono, lo stesso che forse anche lui ha cercato, invano.

da "la ballata del carcere di Reading" di Oscar Wilde 
(musica Silvano Staffolani)

Io non so dire se la Legge è giusta o se la Legge è ingiusta.

So soltanto che noi languiamo abbandonati in carcere circondati da mura troppo alte, dove ogni giorno è lungo come un anno: un anno fatto di giorni lunghissimi.

E questo posso dire: che ogni Legge creata dall’uomo per l’uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male.

Ed anche questo so (vorrei che ognuno lo sapesse): ogni carcere è costruito dall’uomo con mattoni di vergogna e chiuso dalle sbarre, perché Cristo non veda come gli uomini riescono a mutilare anche i propri fratelli.

Con queste sbarre macchiano la luna ed accecano il sole. Forse è giusto che tengano nascosto il loro inferno: dentro avvengono cose che nessuno, non il figlio di Dio e non il Figlio dell’Uomo, avrebbe forza di guardare.

È mezzanotte nel cuore di un uomo, è il crepuscolo nella cella di un altro: ognuno nel suo inferno solitario gira un uncino o lacera una corda. Il silenzio lontano è più solenne del suono di una campana di rame.

Mai una voce umana s’avvicina per dire una parola di conforto. Lo sguardo che ci scruta dalla porta non ha pietà, impassibile. Da tutti dimenticati, siamo qui a marcire, sfigurati nel corpo e nello spirito.

Eppure ogni uomo uccide ciò che ama. Io vorrei che ciascuno m’ascoltasse: alcuni uccidono adulando, ad altri basta solo uno sguardo d’amarezza. Il vile uccide con un bacio e l’uomo coraggioso con la spada!


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