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domenica 19 marzo 2017

benvenuti al "MUSEO DEL BIROCCIO DI FILOTTRANO"




in memoria di :

GLAUCO LUCHETTI GENTILONI
(Roma 21 marzo 1916 – Filottrano 25 Febbraio 2004)



VECCHIO BIROCCIO

VUOI TU RACCONTARE
A COLORO CHE NON SANNO,
QUANT’ERA DURO IL CAMPARE
TUTTI I GIORNI DELL’ANNO?

QUANDO L’UMILE BOVE
CHE MAI SI LAGNAVA,
IL TUO STESSO FARDELLO
SOTTO IL GIOGO PORTAVA.

OR CHE NULLA E’ COME ALLORA,
COL TRATTORE TI HAN SCAMBIATO
E DOPO TANTO LAVORARE
ANCHE TU PUOI TIRAR FIATO.

MA TUTTO FINIREBBE
SE NON SI POTESSE TRAMANDARE
TUTTA QUELLA SERENITA’
IN MEZZO A TANTO TRIBOLARE.

COSI’, DA QUESTO MUSEO
LE TUE RUOTE IMPOLVERATE
RICORDERANNO AI POSTERI
QUELLE STAGIONI TRAVAGLIATE.

Giovanni Santoni



Foto 1 - Glauco Luchetti Gentiloni 
C’è una foto esposta all’ingresso del museo del biroccio, ci introduce alla figura di colui che il museo l’ha prima pensato, desiderato e poi realizzato. Un uomo maturo che tiene in braccio un modello in scala di Biroccio marchigiano, intorno a lui un bel giardino all’italiana con basse siepi ordinate in figure geometriche. L’uomo della foto è Glauco Luchetti Gentiloni e il modello è in realtà uno dei regali da lui ricevuti per il giorno della sua cresima (siamo intorno al 1931) ma la foto non è certo scattata in quella occasione come dimostra l’età dell’uomo in questione. Un regalo (prezioso) ricevuto da adolescente che fa nascere un attaccamento, un amore o comunque una forma di rispetto e passione che dureranno negli anni fino a tramutarsi in desiderio di conservarlo nel presente e, per quanto possibile, accompagnarne nel futuro il vivo ricordo.

Foto 2 - il francobollo dedicato
alle Marche
A partire dagli anni ’50 del secolo scorso il Biroccio inizia una lenta decadenza che lo porterà a sparire dal paesaggio agricolo, ormai superato dall’uso dei moderni mezzi meccanici e sostituito dal trattore almeno per il lavoro nei campi. Destinato dunque ad essere accantonato per sempre quando non lasciato a deperire e marcire all’aperto senza protezione dai fenomeni atmosferici, in balia del tempo che tutto consuma.
Eppure proprio nel 1951, più precisamente il 20 ottobre 1951 l’amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni emette una serie di francobolli “Regioni d’Italia al lavoro” con cui, un francobollo per ogni regione, intende celebrare proprio il lavoro e lo fa caratterizzando in qualche modo il territorio e legandolo ad una forma di lavoro abbinato a un simbolo paesaggistico/architettonico identificativo della Regione. Per le Marche il soggetto è il raccolto ed ecco dunque apparire un uomo seduto sopra a dei sacchi di grano sopra la sponda di un biroccio trainato dalla coppia di buoi con sullo sfondo il Palazzo Ducale di Urbino.

Dunque nel 1951 pur se la sua epoca si avvia al tramonto, il biroccio è ancora rappresentativo del mondo del lavoro marchigiano. Forse la serie di francobolli, così come per le Marche ma anche per ogni altra regione riportata nella sua peculiarità, è proprio una sorta di omaggio visivo ad un mondo che sta, se non scomparendo, sicuramente trasformandosi profondamente.

Glauco Luchetti Gentiloni intuisce i cambiamenti che stanno avvenendo e ha desiderio di dare “riparo” ai birocci ormai privati di ogni utilità dopo tanto lavoro svolto. Un “giocattolo” per il bambino che diventa per l’adulto racconto di un mondo da tramandare, da destinare a chiunque avrà la curiosità di andare a sentire le storie del passato, silenziose per chi non è abituato ad ascoltarle. Inizia a raccogliere documenti, storie ma anche pezzi e infine birocci interi, di paese in paese per tutta la regione, catalogando e classificando, prendendo misure e studiando, attraverso calchi e disegni, dando un nome a ogni singolo componente e riportandolo a nuova vita all’interno di quello che stava diventando il “museo del biroccio marchigiano”. Nel palazzo di famiglia (Palazzo Beltrami-Luchetti) al centro di Filottrano, tipico paesino collinare in provincia di Ancona, nasce e prende vita la più grande collezione dedicata al biroccio marchigiano che nel 1967 diventerà ufficialmente museo e che da allora accoglie visitatori e curiosi da ogni dove; nello stesso anno proprio Glauco Luchetti Gentiloni darà alle stampe quello che, a tutt’oggi, rimane l’unico libro dedicato al mondo del biroccio.
Foto 3 - interno del museo 
Vorrei accompagnarvi stanza per stanza a scoprire tutto quanto è esposto, e per fare questo vi invito fin d’ora a fare visita al museo. Ogni museo altro non è che un semplice, vuoto, inutile contenitore di altrettanto inutili cose se non ci sono i visitatori e chi adeguatamente li accoglie, con umiltà da parte di entrambi si può far compiere il miracolo di riportare in vita quello che altrimenti altro non sarebbe se non…accumulo di polvere.
E allora, trovandoci momentaneamente distanti dal museo non mi resta che raccontarvelo, quel che basta per incuriosirvi e fargli venire voglia di venirlo a vedere di persona. Prima di tutto : cos’è infine questo biroccio così tante volte citato? E’ forse un mezzo di trasporto? Uno strumento di lavoro? Un po’ di entrambi e tante altre cose insieme. Attraverso il biroccio passava buona parte della vita del mondo contadino, con il biroccio si andava a prendere la “levatrice” quando la si doveva portare a casa per aiutare la partoriente, l’inizio di una nuova vita portava già la traccia di queste due grandi ruoteBIROTIUMBIROTEUS (dal latino) allo spagnolo Birlocho all’italiano Biroccio. 
Foto 4 - Biga di Monteleone

Dunque abbiamo già una caratteristica essenziale, due sole ruote così come la Biga dell’antica Roma con i suoi centurioni, ma la Biga ha origini ancora più antiche, e dalle versioni povere completamente in legno a quelle già più rifinite con anche la lamina in ferro a rivestire il diametro delle ruote; il pianale al centro sopra l’asse che collegava le due ruote e il lungo timone sulla parte frontale.

La vita tutta passava in qualche modo se non sopra accanto al biroccio. Il lavoro nei campi e il raccolto da trasportare. Le giornate di festa in cui veniva minuziosamente ripulito e ulteriormente addobbato per mostrarsi ancora più bello in occasioni speciali. Le comunioni, cresime, matrimoni, ogni cerimonia richiedeva questa processione di persone che si spostavano con il biroccio. Prima del matrimonio, quando la sposa doveva portare la sua dote a casa del futuro marito (dove si faceva la “stima”, l’inventario scritto di quello che veniva portato) era uso comune il giovedì della settimana precedente la cerimonia, caricare la dote sul biroccio, con i tessuti più preziosi bene in vista, e sfoggiare il tutto di strada in strada fino alla destinazione finale.

Foto 5 - il trasporto del corredo
Che cosa rende così particolare il biroccio marchigiano rispetto a qualsiasi altro carro di ogni parte d’Italia? Abbiamo già individuato il particolare delle due ruote e del lungo timone frontale ma è il cassone centrale che più ci interessa. Quattro lati interamente dipinti, nelle versioni più povere colorate,  ma comunemente decorati alquanto finemente. Quattro province nelle Marche ai tempi in cui giravano i birocci e ciascuna con il proprio decoro. Già ad una prima occhiata sommaria si poteva facilmente stabilire la provenienza del biroccio, solo con i colori impiegati : il rosso (minio) e blu per Ancona – blu e rosso per Macerata – giallo e blu per Pesaro – rosso e giallo per Ascoli Piceno.

Ancona e Macerata presentano sulla fiancata (sponda/tavola) frontale (movibile) il Sant’Antonio Abate (in mezza figura) a diretto contatto con gli animali e a protezione degli stessi e sulle fiancate laterali nelle tre specchiature (quattro per Arcevia) è riportato il nome del proprietario, del carradore o di chi ha dipinto il biroccio (specchiatura centrale), il vaso con i fiori (specchiatura di destra) e la pupa del biroccio (specchiatura di sinistra); sulla fiancata posteriore (movibile) vi è solamente un decoro floreale.

Per la Provincia di Pesaro e Urbino le decorazioni sono simili anche se i soggetti sono più variegati, sono presenti paesaggi soprattutto nel frontale dove il Sant’Antonio Abate è a figura intera; il più rappresentativo dei “pittori” di questa zona è il Damiani di San Lorenzo in campo.

Per Ascoli Piceno vengono meno i riferimenti di paesaggi e/o figurativi rimanendo solo una decorazione floreale (l’albero della vita).
Altri particolari che differenziano le zone : bracciolo in metallo per Ancona e Pesaro – in legno per Macerata e Ascoli Piceno : la doppia scalina per Ancona e Macerata, singola per Pesaro e Ascoli Piceno.
Per la zona di Ancona e Macerata attraverso il biroccio passa anche la storia del costume, possiamo vedere nei modelli più antichi la raffigurazione della “pupa” come modella vicino al mondo dell’esecutore del dipinto, la donna / contadina, sorella / madre con il tipico costume marchigiano : gonna (guarnella) – grembiule – corsetto – camicia a maniche ampie – sulle spalle il fazzoletto – collana di perle o coralli (o bacche?) – fazzoletto anche in testa che racchiude i capelli. Si vede poi con il passare degli anni che il pittore prende come modella non più chi aveva accanto, ma la donna desiderata e vengono così raffigurate le acconciature, le prime scollature e i vestiti eleganti. Ecco che l’arte modifica se stessa e l’oggetto rappresentato; non più il mondo conosciuto e posseduto ma quello desiderato.



Particolari significativi – le golette e il giogo (CONIUGE - Dal latino cum e iugus (=giogo), indica colui / colei) con cui si condivide la stessa sorte.) sono generalmente scolpiti come dei bassorilievi dai proprietari del biroccio (non vengono acquistati dal birocciaio se non raramente) nelle lunghe notti invernali e sul giogo rimane traccia dell’opera di chi l’ha scolpito così come della sua storia. Ecco perché il giogo deve necessariamente rimanere in famiglia, separarsene equivale ad attirare maledizioni sulla famiglia. Nelle case di campagna è ancora solito trovare il giogo affisso sopra le architravi delle porte proprio nel rispetto di tale divieto di separazione dall’ambiente familiare. 

Foto 6 - le golette e il giogo

Dal volume “il biroccio marchigiano” di Glauco Luchetti Gentiloni
“…Però il biroccio, che passava con maestosa lentezza nelle bianche strade come simbolo delle Marche – mezzo di lavoro nella vista dei campi, carro trionfale nelle feste religiose – oggi sta per lasciarci. Le strade sono asfaltate e le automobili vi circolano numerose. Pochissimi carri sono ancora conservati con venerazione; i più marciscono e scoloriscono all’aperto o mal riparati nelle capanne: per tutti scorrono i lenti anni della decadenza.
Col tempo, forse, arredatori ed antiquari “scopriranno” il biroccio. Allora vedremo fiancate costituire banconi di bar, tavole formare spalliere, testate di letti, attaccapanni o decorare pareti. “


Foto 7 - il biroccio marchigiano


sabato 18 marzo 2017

Come nasce un'opera teatrale.
All’inizio di tutto c’è la riunione con gli “attori” che saranno chiamati ad interpretare le varie parti di quella che si pensa possa essere la nostra prossima opera da portare in scena. E’ vero : c’è una idea di base che il nostro regista ci ha già presentato e che ritiene possa essere valida, però la scelta finale spetta ai ragazzi; democraticamente la scelta se dare vita all’idea o meno avverrà tramite la messa ai voti dopo che tutti saranno adeguatamente informati su quella che è la storia narrata. Un pomeriggio, un sabato, uno dei tanti di laboratorio teatrale, siamo tutti intorno ad un tavolo e ciascuno dei nostri “ragazzi” dopo aver attentamente ascoltato dice la sua e la conversazione finale, quella decisiva è stata più o meno così :
“io non sono d’accordo nel mettere in scena Orfeo e Euridice, questa è una storia d’amore e nessuno di noi sa cosa questo vuol dire, a noi sono precluse questo tipo di esperienze quindi ritengo che non dovremmo farlo”
Inutile negare che c’è stato un momento di sconforto generale perché l’idea aveva iniziato davvero a piacerci e queste parole, con il loro peso, sembravano chiudere ogni possibilità.
Nel silenzio generale però ecco una voce tanto gentile quanto decisa :
“posso dire la mia? A dire il vero nell’opera precedente io ero capitano di una nave, non sono mai neanche salita su una nave e probabilmente neanche potrò mai salirci, figuriamoci diventarne capitano però a teatro posso essere chi voglio quindi secondo me possiamo farcela, anzi dobbiamo farcela per cui il mio voto è per mettere in scena Orfeo e Euridice”
Sono state queste le parole che hanno convinto tutti, per fortuna.  
“Se ci credi basta un istante e sarai chiunque tu vorrai” è in questo modo che nasce “il cantiere dei sogni”.
Domenica 26 aprile 2017 alle ore 18:00 al Cineteatro Camillo Ferri di Montecassiano (MC) porteremo di nuovo sul il palcoscenico la voglia di sognare e il desiderio di affrontare ancora nuove sfide mettendoci in gioco, insieme al pubblico che vorrà essere presente.
Ricordatevi di fermarvi un istante dopo lo spettacolo, i nostri “ragazzi” saranno ben felici di sentire che ci siete stati e che li avete apprezzati dando un senso al loro impegno, basta una stretta di mano, un abbraccio insomma quello che volete tanto sarà il vostro cuore a suggerirvi il modo migliore per comunicare.

“Sono Hermes il messaggero e ho un messaggio per voi : non importa chi voi siate, importa solo che continuiate a sognare chi volete essere”


lunedì 13 marzo 2017


Direi che il 2017 sotto il punto di vista musicale può dirsi già concluso. Un album più bello di questo è impossibile che possa uscire. Lo ascolti e lo riascolti scoprendoci ogni volta qualcosa che prima t'era sfuggito e come ogni promessa mantenuta diventa ogni volta ancora più bello. "Un pianoforte sai, può anche volare e io lo so guidare" canta Alessandro Pellegrini e fareste bene a credergli. Ammaestrate le parole e riscaldati i tasti del pianoforte, il viaggio può iniziare e il nostro accompagnatore/intrattenitore ci sa davvero fare tanto da farci dimenticare di noi stessi che a lui ci affidiamo e per un po' entriamo a far parte del suo mondo poetico e pieno di colori, nuovi. Qualcosa, quel qualcosa che da sempre cerchiamo e che, per non annoiarci, continuiamo a cercare per sempre. Quel qualcosa di indefinito che gioca a nascondersi tra una rima e una melodia, che ci è sempre appartenuto prima ancora di averlo mai posseduto, che riconosciamo con un sorriso innocente come quello di un bambino...che vede qualcosa di bello. Queste 12 canzoni (ehm...sarebbero 13 a dire il vero) contenute nel cd sono tutte finestre attraverso cui guardare paesaggi incantati di cui, se non ci si distrae troppo, se ne possono persino sentire i profumi perché le note ti arrivano addosso come il respiro del vento. Insomma "Qualcosa " di Alessandro Pellegrini è uno di quegli album da ascoltare e possedere: l'unico divieto è non innamorarsene.